venerdì, Novembre 14, 2025
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Al “Sacchetti summer camp” l’inclusione è allenamento quotidiano

Tecnici esperti affiancati da tutor che conoscono la Lingua dei Segni Italiana e compagni che imparano a comunicare anche con gli occhi: ogni gesto è pensato per accogliere, ogni giornata è costruita per far sentire tutti parte della stessa squadra.

Con questo spirito il “Sacchetti summer camp” di basket a Fiera di Primiero, ai piedi delle Pale di San Martino, che quest’anno riunisce 150 ragazzi, 20 dei quali sordi, inizia la sua seconda e ultima settimana. Unico esempio in Italia, nato con l’idea di rendere l’accessibilità non è un’aggiunta ma parte del gioco e dove l’inclusione è allenamento quotidiano.

“Sull’esperienza dell’anno scorso ci siamo allargati – racconta Omar Busana, con Brian Sacchetti e Neven Adzaip il triunvirato del Camp – Il carburante primario è come sempre la nostra passione per il basket, insieme alla risposta di famiglie e bambini di ogni regione d’Italia e per quanto riguarda i sordi la propositività del Pio Istituto dei Sordi di Milano”.  

Ad un termine in voga come “inclusione” da qualche tempo si è aggiunto un gran parlare di  “riqualificazione delle strutture”. Bandiere sventolate e riposte ad intermittenza da molti, concretamente da pochi.

“Va così da sempre perché si preferisce la strada più semplice lastricata di contributi una tantum e proclami. Alle associazioni e a chi come noi si mette in gioco e vive la sua passione sul campo l’aria delle bandiere e i termini di moda arrivano poco.
Ormai sappiamo a cosa dedicare tempo ed energie per non perderci in speranze o illusioni.

A Fiera di Primiero abbiamo trovato le condizioni e gli interlocutori ideali.
Ogni ragionamento è finalizzato a migliorare la nostra proposta per trasmettere ai ragazzi l’impegno, l’entusiasmo e la qualità dello staff”.

Qui sapete mettere in pratica sinergia e collaborazione tra persone e realtà di diverse regioni. Nella Varese città del basket che succede?

“In questi ultimi anni il proliferare di academy ha innescato la gara dei numeri.
Come hai detto tu Enti e Istituzioni annunciano e parlano di riqualifica di palestre e impianti sportivi. Da amante del basket mi va bene tutto ciò che avvicini un bambino alla nostra come ad ogni altra disciplina. Sarei ancora più felice se vedessi impegno e investimenti relativi alla formazione degli istruttori e alla qualità della pratica sportiva”.

Dalla felicità per la promozione in A2 con Roseto a quella ritrovata sul viso dei partecipanti al Camp che porta il suo cognome. Per Brian Sacchetti un pieno di energia e gratificazione.

“L’energia di queste ragazze e ragazzi come quella di chi li ha preceduti è davvero contagiosa. Il nostro basket, fatta eccezione per la meravigliosa medaglia d’argento delle donne all’europeo, non gode di ottima salute. Alle parole sull’attenzione per i vivai non seguono fatti concreti. Io credo che si debba necessariamente migliorare ad ogni livello. Altri Paesi ci hanno raggiunti e superati investendo su ogni aspetto, soprattutto perchè ormai da tempo la concorrenza di altre discipline complica non poco il reclutamento e di conseguenza l’individuazione e la crescita di talenti. Per questo è ancora più importante il ruolo degli istruttori e dei tecnici che devono seminare e coltivare la passione per il basket”.

Come si pensa e si comunica un camp di basket aperto a persone sorde?

“Pur sottolineando la singolarità del nostro Camp unico in Italia, la comunicazione più importante è il passa parola di chi ci è stato o è tornato – risponde Neven Adzaip, ex calciatore, oggi organizzatore di eventi sportivi –

La comunicazione e la promozione è basata sull’opportunità per ragazze e ragazzi di vivere una settimana di sport, regole, divertimento e condivisione. L’unico ostacolo che resiste è ancora la non cultura del proprio orticello tradotta in paura di perdere chissà cosa, anziché crescere acquisendo conoscenza, collaborando e confrontandosi con altre realtà. L’inclusione è solo la conseguenza di essere arrivati alla consapevolezza di poter offrire la stessa opportunità anche a persone sorde.
La possibilità di iniziare il Camp con un raduno della Nazionale di basket sorde è stata una ulteriore lezione e motivo di crescita per tutti noi”

Quanto corrisponde la vostra apertura a quella di chi istituzionalmente ne ha titolo?

“Purtroppo poco o niente. In questo senso l’incontro con il Pio Istituto dei Sordi di Milano è stato contro tendenza. Da subito l’Istituto ci ha donato un contributo economico e contatti utili con il risultato di aver raddoppiato la presenza dei sordi in sole due edizioni e, grazie alla comunicazione dell’Ente Nazionale Sordi di Trento, di arrivare alle facoltà di Lingua Italiana dei Segni delle Università con la rapida quanto concreta risposta dell’Università di Parma grazie alla quale abbiamo potuto inserire nel nostro staff due studentesse di LIS del secondo anno”.

A proposito del “migliorare la nostra proposta sull’esperienza passata”…

“Quando siamo state informate di questa opportunità durante il nostro tirocinio all’Ente Nazionali Sordi di Piacenza non abbiamo perso un attimo per proporci in quanto occasione unica per crescere come persone prima che come laureande della LIS”.

A rispondere in coro sono Noemi Melis di Piacenza e Alessia Camporesi di Parma, entrambe studentesse del secondo anno della Facoltà del corso di laurea triennale di Interprete di Lingua dei Segni Italiana (LIS) e Lingua dei Segni Italiana Tattile (InLIST) dell’Università di Parma.

“Dubbi e paure sono durate solo il viaggio per arrivare a Fiera di Primiero – racconta Noemi – Nell’incontro con lo staff tecnico e con il primo gruppo dei partecipanti si è subito creata un empatia rendendo tutto naturale e stimolante perchè abbiamo la possibilità di confrontarci con persone sorde, segnanti e non, che comprendono e quindi a loro volta ci insegnano ogni variante del loro modo di comunicare”.

Cosa impedisce alle persone sorde di giocare a basket con gli udenti?

“La difficoltà maggiore è l’uso della parola – risponde Alessia – Nel basket e non solo l’udente chiama il compagno, lo avverte, gli indica schemi e posizione.
Cosa che nello sport dei sordi non è permessa per mettere tutti nella stessa condizione. Detto questo, ciò che vediamo tradotto sul campo ogni giorno ci portano a pensare che un’attività inclusiva sordi e udenti non sarebbe poi così difficile”.

Ancora una volta, come sempre, la differenza la fanno le persone. Non servono nuove parole, servono presenze. Le strutture contano, certo, ma senza Maestri veri, non c’è futuro. E parlare di inclusione è inutile se non c’è volontà, umiltà e disponibilità a mettersi in gioco.
E’ necessario sostenere la passione di chi ogni giorno costruisce spazi educativi reali, saltando ostacoli e silenzi istituzionali. Il tiro da tre è spettacolare, porta punti rapidi ma è pur sempre una scorciatoia.
Quando arrivano le difficoltà – e arrivano sempre – serve chi conosce il gioco, chi insegna la tecnica, il rispetto, le regole.
Lì, sul campo, si fa l’inclusione vera. Il resto è solo rumore.

Roberto Bof
Roberto Bof
Vivo in un circo ma non sono un pagliaccio
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