Paralimpiadi Pechino 2008: Un mondo, un sogno, tante emozioni

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Negli occhi e nel cuore ho ancora il saluto che la Provincia di Varese con il presidente Dario Galli, gli assessori Campiotti e De Bernardi Martignoni. Pechino dorme, un po’ meno chi ha ancora addosso l’orario italiano e 24 ore di “praticantatato” nell’affrontare l’avventura cinese. In una città tappezzata di segnali e immagini riguardanti le paralimpiadi, in cui è impossibile non imbattersi nel motto “paralimpiadi: un mondo un sogno”, la richiesta di una semplice informazione ad uno tra le migliaia di volontari e poliziotti, genera un dibattito infinito. Nel silenzio della camera d’albergo che condivido con Fabrizio Tacchino, preparatore atletico dell’handbiker azzurro Vittorio Podestà, con l’orologio al polso che segna le 7 e 10 mentre quello sul comodino ribatte con 01 e 09, non si è ancora esaurita l’emozione provata al Velodromo Laoshan per la medaglia di bronzo conquistata dal 42enne lecchese Fabio Triboli, alla sua seconda Paralimpiade, primo podio della spedizione italiana. Gioia che ha cancellato la delusione nella squadra azzurra per il quarto posto, nella giornata inaugurale, del piemontese Paolo Viganò, a soli 14 millesimi di secondo dal podio, giornata in cui l’esordiente Silvana Vinci ha scritto il suo nome nella storia delle Paralimpiadi giungendo settima nella sua categoria. Solo 6 anni fa, alla Vinci fu diagnosticato lo stato vegetativo permanente in seguito ad una caduta dalla bici che rese necessaria la ricostruzione artificiale della sua calotta cranica. Alle 7 suonerà la sveglia per tornare al velodromo ed assistere al ritorno in pista di Viganò, e del veterano Fabrizio Macchi, classe 1970, terza paralimpiade per lui. Nel pomeriggio, entreranno invece in scena gli azzurri del’adaptive rowing. Nel bacino del Parco Shunyi. l’avveniristico ed unico al mondo spazio d’acqua diviso in 9 corsie lunghe oltre 2km, tutti e quattro gli equipaggi azzurri diretti dalla responsabile Paola Grizzetti e dal suo fido collaboratore, Renzo Sambo, imbracceranno i remi per superare il primo turno di qualificazione. Il più emozionato è manco a dirlo, il sessantaduenne capitano Vittorio Bolis, riserva insieme alla giovanissima Mhaila Di Battista ma anima e corpo di una squadra che promette grandi soddisfazioni, protagonista comunque di una storia nata, cresciuta e concretizzatasi dopo una durissima selezione tra atleti di diverse società, nel Centro Tecnico Federale ed Internazionale della Canottieri Gavirate, in provincia di Varese.

Martedì 9 settembre – E venne Paolo 1°
Paolo Viganò parte con paura ma poi via via si distende in una cavalcata che meriterebbe un sottofondo di Richard Wagner, per ironia della sorte un tedesco morto in Italia. Non c’è gara. A metà dei 10 giri, chi vuol bene a Paolo ha già gli occhi lucidi. Emozionatissimo anche il Presidente del Comitato Italiano Paralimpico, Luca Pancalli arrivato per l’occasione per affacciarsi sul fantastico anello di legno lungo 250 metri. Le lacrime diventano sorrisi ed abbracci. La squadra azzurra con i tecnici Sergio Introzzi e Mario Valentini, si coccola il nuovo campione paralimpico. Viganò sembra non rendersi conto di cosa sia successo. Poi realizza il tutto e si lascia andare in un lungo pianto liberatorio abbracciato al suo compagno Pier Paolo Addesi, finito 7° nella sua categoria. Poi Viganò ha un sussulto nessuno capisce cos’à in testa. Cerca una bandiera tricolore, la trova, si dirige verso la tribuna occupata dai tifosi tedeschi in festa per il loro beniamino, arrivato secondo.
Nel calcio la chiamerebbero “una provocazione”. Lo sport di coloro chiamati diversamente abili regala invece l’ennesima lezione di civiltà e cultura sportiva.
I tedeschi prendono la bandiera italiana e ricambiano porgendo la loro a Viganò. Bandiere che sventolano entrambe per festeggiare due grandi uomini prima che atleti. E poi il podio, la medaglia d’oro, l’inno di Mameli, ed ancora abbracci, quelli si diversi. Perché solo in questo mondo si sanno donare e ricevere abbracci così. Il pensiero vola ai ragazzi dell’adaptive rowing che nel frattempo conquistano una finale con il 4 con, mentre i due singoli ed il doppio dovranno giocarsi il tutto per tutto domani nelle gare di recupero. Buone notizie anche dal ping pong e dal tiro con l’arco. Ma oggi è il giorno di Paolo Viganò. Tutti in piedi con la mano sul cuore. Avanti il prossimo.
Le giornate, a Pechino, non finiscono mai. risveglio difficile evitare il solito taxista senza nessuna cognizione della distanza e dei luoghi paralimpici. Partenza dall’hotel ore 8.30. Il Velodromo è a circa 30′ di strada. Arrivo a destinazione ore 11.00!!! Due notizie ci attendono. La prima è negativa: Fabrizio Macchi non ha superato il turno di qualificazione nell’inseguimento classificandosi 5°. Strepitosa prestazione invece di Paolo Viganò, volato in finale stabilendo il record del mondo della specialità con 3.59.41. E chi si muove dal Velodromo Laoshan? In attesa della finale e’ sufficiente mettere in scena la classica commedia all’italiana ed il malcapitato volontario (mister please , mister please…), a guardia dei locali riservati agli atleti, è beffato! Varcata la soglia di quello che doveva essere il luogo tranquillo e rigeneratore di Viganò, la delusione è forte. Trattasi di squallido “4 mura” con l’atleta sdraiato per terra sull’asciugamano. Il clima è comunque sereno. In tutti c’è la certezza che la vera finale è già stata vinta nella qualificazione rifilando 6″ al tedesco Erich Winkler, l’avversario di sempre. Nel Velodromo arriva la notizia della positività del pesista pakistano Naveed Ahmed Butt, che La Federazione Internazionale di Sollevamento Pesi ha prontamente…sollevato. Altro appuntamento della giornata è la finale dei 100 metri nel ribattezzato “Nido d’Uccello”, lo stadio olimpico di Pechino. E ancora. Il cuore vorrebbe correre al bacino del Shunyi Olimpic Park, per sostenere gli equipaggi dell’adaptive rowing, nome roboante riservato al canottaggio adattato dei disabili, tutti in gara per conquistare le finali in programma giovedì. Ma la distanza da quella sede ed il traffico da paralisi sconsiglia ogni spostamento. Potrà mai un pakistano dopato e la scontata vittoria del sudafricano Oscar Pistorius distrarci dalla corsa alla prima medaglia d’oro colorata d’azzurro? Ore 16.30 la nuvoletta dello sparo dello starter è già in alto a far compagnia al resto dello smog che avvolge la capitale cinese.

Mercoledì 10 settembre – Profumo di medaglie
Pechino con il sole non l’avevo ancora vista. Eccomi accontentato. Sveglia di buon’ora in direzione Velodromo Laoshan, meta sconosciuta per gran parte dei taxisti pechinesi. Infilo le scarpe che ancora umide mi ricordano la piovosa giornata di ieri terminata con l’emozione della “prima” allo Stadio Nazionale, denominato “Nido d’uccello”, dove oggi la stupenda Francesca Porcellato, portabandiera azzurra, ha ottenuto un ottimo 5° posto, osservando dall’esterno l’altrettanto avveniristico Centro Acquatico Nazionale. Uno spettacolo impressionante, soprattutto di sera, con giochi d’acqua, musica e luci. Indimenticabile!Dall’Italia mi arrivano sms del tipo: “l’hai visto Pistorius?”. Curiosità che rimbalzo. La ripetuta domanda è dovuta unicamente alla penosa campagna pubblicitaria montata intorno all’atleta sudafricano, amputato di entrambi gli arti inferiore, che corre con le protesi di carbonio. Un carrozzone mediatico, creato ad arte dal suo potente sponsor, mascherato da battaglia per l’integrazione. Peccato che in questa stessa Paralimpiade, sempre con la maglia della nazionale del Sud Africa, ci sia in gara una certa Natalie Duilt, nuotatrice anche nelle recenti Olimpiadi terminate qui a Pechino da pochi giorni. Per non parlare poi di casa nostra, dove sarebbe invece sufficiente conoscere la storia dell’arciere azzurra Paola Fantato, che sta celebrando in Cina la sua 5a partecipazione paralimpica, medaglia d’oro nelle edizioni dal 1992 al 2004, che già nel 1996 partecipò, in carrozzina, alle Olimpiadi di Atlanta. Ferma tutto! Arrabbiarsi costa energia che non devo sprecare. Il sole è alto e Silvana Vinci mi aspetta in pista. Lei è puntuale alla partenza. Io, partito dall’albergo in grande anticipo, pure. Sul rettilineo di fronte c’è la sudafricana Roxy BurnsTribune piene come mai viste negli altri giorni. Evidentemente le scolaresche reclutate per la scenografia hanno risposto al meglio. Sparo dello starter. Silvana vola! Non contro l’avversaria sudafricana e nemmeno per accedere alla finale. Lei ha già al collo la medaglia d’oro della vita. Sul tabellone luminoso, i 6000 del Laoshan vedono scorrere i tempi e le immagini. Silvana vede invece la faccia di chi un giorno non fece il suo dovere posizionando male il tombino che la fece cadere dalla sua bici, sbattere più volte la testa sull’asfalto e infine addormentarsi in un coma lungo tre mesi. Ma Silvana vede anche quella di chi gli aveva diagnosticato una vita da vegetale o al massimo in carrozzina. Nessun rancore, la rabbia si è esaurita nel tempo. I visi sul tabellone, rossi di vergogna, spariscono lasciando il posto al nome di Silvana Vinci, settima nella classifica generale della gara ad inseguimento. Un ultimo giro per scaricare tensione e fatica. La cerco. Prima solo con lo sguardo e poi urlando il suo nome in mezzo ai volontari cinesi che ridono a crepapelle senza perdermi di vista perché già il giorno prima li avevo fregati saltando da Viganò. Sissi arriva e l’abbraccio è di quelli che solo in un mondo affascinante ma frustrante, difficile ma semplice, portatore sano di emozioni e sensazioni forti, come da quello dello sport disabili, si possono ricevere. Essere qui insieme a Silvana mi è ancora difficile crederlo. Era un sogno per entrambi. Per ragioni e con motivazioni ovviamente diverse. L’abbraccio e le foto con lei sono accompagnate dai sorrisi dei volontari e dall’emozione del tecnico azzurro Sergio Introzzi che si porta via Silvana. Per loro ci sono ancora le gare su strada, insieme a tutta la squadra azzurra completata dall’arrivo delle ragazze del tandem: la guida Melissa Merloni e la non vedente Cinzia Coluzzi, da Giorgio Farroni e dall’handbiker Vittorio Podestà. Sono attesi da un fine settimana tremendo. Tra tanti sorrisi vedo una faccia sconosciuta che si avvicina. Nonostante il mio inglese stile “open the window”, mi sembra di capire :”io no abbraccio, no foto…”. “By me?” le rispondo pur sapendo di dire una castroneria. “Sciò” dice lei ritrovando il sorriso. Sciò, che sicuramente non si scrive così, in cinese vuol dire “si”. L’ho imparato in questi giorni perché i cinesi quando sono al cellulare lo urlano ad alta voce ripetendolo continuamente. Insomma consegno la mia macchina digitale ad una volontaria, mano sulla spalla e via che scattano i flash. La ridarola dei presenti è contagiosa perché adesso è sul viso di tutti. La n.163 in maglia giallo rossa mi ringrazia cento volte e se ne va via felice. Sono ancora lì con quell’espressione da ebete che mi si avvicinano due giornalisti cinesi. La testata è impronunciabile. E’ incredibile : scatta un’intervista!!! “Chi sei? Come fai ad essere amico di Taì Cì” (capisco così), e via con altre domande di cui non capisco una parola.
Mi guardo in giro perché inizio a pensare che da un momento all’altro dal soffitto del velodromo apparirà uno striscione con la scritta “sei su scherzi a parte”. Invece no. Così com’è cominciata è finita. Nel lasciare l’impianto penso :”ma posso io raccontare cosa mi è successo dicendo che la cinesina si chiamava 163? Torno in sala stampa per cercare il comunicato della classifica ufficiale…trovata! Inseguimento LC 3-4, 5a classificata: Tang Qi. Già vedo lo striscione a Londra nel 2012: Club Tag Qi Valceresio. Domani si cambia disciplina. Nel pomeriggio si decidono le sorti della squadra di canottaggio. I due singoli di Agnese Moro e Simone Miramonti, nelle finali di consolazione per definire le posizioni dal 7° al 12° posto, mentre il doppio ed il quattro con sono in gara per l’oro. Stasera, nell’aria rinfrescata dalla pioggia, si sente profumo di medaglia…

Giovedì 11 settembre – Lacrime d’oro
E’ notte fonda. Domattina, o meglio, stamattina
(il fuso mi ha fuso!), il “doppio” ed il “quattro con” gareggiano per l’oro. La sveglia è già puntata all’alba… quando arriva la telefonata del commissario tecnico Paola Grizzetti.
Al diavolo la bolletta! Rispondo. Paola mi passa il Presidente della federcanottaggio Renato Nicetto: “Roberto che fine hai fatto? Alle finali non puoi mancare! Ti aspetto a mezzogiorno davanti al mio albergo. Ti porto al bacino olimpico con l’auto che mi ha riservato il comitato organizzatore.”
Invito gradito che naturalmente accetto. Più ore di sonno ed ancora un po’ di tempo per sbirciare la capitale cinese. Più riposato, stamattina Piazza Tienanmen mi sembra ancora più grande. A mezzogiorno esatto arrivo all’albergo del presidente Nicetto, non prima dell’ennesimo inutile tentativo di ricevere indicazioni dalla popolazione locale. Sull’auto con autista, interprete e presidente federale è tutta un’altra musica. Fuori dal finestrino inoltre, posso vedere un’altra Pechino, ancora più moderna, immensa, “americana”. Percorrendo la corsia riservata ai mezzi del comitato olimpico, arriviamo al Parco Olimpico del canottaggio di Shunyi in largo anticipo. I primi azzurri in gara sono i due singoli di Agnese Moro e Simone Miramonti impegnati nelle finali di consolazione. Agnese vince la sua gara conquistando un più che onorevole 7 posto. Simone è invece secondo, di conseguenza ottavo. La prima finalissima è quella del doppio di Daniele Stefanoni e Stefania Toscano. La partenza è lontana dalla tribuna stampa dove sono seduto in assoluta solitudine, guardato a vista da decine di volontari concentrati nell’impedire l’uso delle telecamere. Pensando al sistema di fregarli al pari dei loro colleghi del velodromo e del circuito del ciclismo su strada, mi distraggo quel tanto che basta per perdere il via dato dall’altoparlante. Lo sguardo si sposta subito verso il tabellone luminoso.
Abbracci e lacrime che racchiudono 4 anni duri, di grandi sacrifici, al pari di tutti coloro che si sono buttati a testa bassa nella scommessa dell’adaptive rowing. Circondato da lacrime di gioia e sorrisi, il pensiero mi vola al “vecio” Vittorio Bolis, 62 anni, riserva a Pechino, rimasto insieme all’altro “vecio” nell’hangar del parco olimpico, entrambi felici ma paralizzati dall’emozione. E poi più lontano, a Gaetano Marchetto rimasto a Varese, escluso dal quattro con nell’ultima selezione prima della partenza per Pechino. Ritorno in tribuna per la cerimonia di premiazione. Medaglia d’oro al collo dei nostri eroi e inno nazionale che accompagna il tricolore mentre sale più in alto delle bandiere britannica e americana. Due superpotenze, supersportive nel riconoscere la superiorità dei vincitori.
Una giornata ricca di emozioni contrastanti. Gioiosa e al tempo stesso malinconica.
Ma non è finita. Dopo la solita impresa nel capire dove si trova la sala stampa, raggiungo gli azzurri alla conferenza stampa del dopo gara.
“Oggi è l’11 settembre – attacca Luca Agoletto – giorno del mio compleanno.
Dalla tragedia alle torri gemelle non l’ho più festeggiato”. Alla traduzione dell’interprete, britannici, americani e gli altri giornalisti cambiano espressione e in sala cala un silenzio surreale. “Da oggi ho un buon motivo per ricominciare a festeggiare questa data”.
Essendo l’unico italiano, oltre agli azzurri, anticipo gli occhi lucidi dell’intera sala, da cui parte spontanea una standing ovation, degna conclusione di una giornata indimenticabile. Fuori dal Parco Olimpico del canottaggio trovo ad attendermi il paziente Nicetto in compagnia del vicepresidente del CIP Remo Breda.
Si ritorna in auto verso l’albergo. Anche oggi gran caldo ed emozioni infinite.
E mangiare? Nemmeno a parlarne. Stasera, insieme ai miei compagni di viaggio, scatta la caccia grossa a qualcosa che assomigli ad una pizza. La nostra medaglia d’oro!

Sabato 13 settembre – Ultima notte a Pechino
Giornata di indispensabile riposo quella di ieri a Pechino, trascorsa scarpinando dall’interminabile e inquietante Piazza Tienanmen al colossale stadio “nido d’uccello”. Dall’avveniristica piscina, già ammirata in ma solo da fuori martedì sera, nella versione al multicolor, al villaggio olimpico. Shopping e sms dal circuito del ciclismo in linea. Due squilli, due medaglie : il bronzo di Giorgio Farroni e l’oro di Fabio Triboli, terza medaglia per lui! Un peccato non esserci ma, già sotto di 4 kg, al mio povero fisico vicino al 50° anniversario non potevo chiedere di più.
Un giorno di pausa ci voleva! Con l’ultima giornata sul circuito della gare ciclistiche, si conclude il soggiorno a Pechino del vostro maldestro corrispondente. Dopo il filotto di medaglie tra pista e strada, gli azzurri si sono classificati quinti nell’hand bike in linea con Vittorio Podestà. Sfortunata invece la prova del tandem. La guida Melissa Merloni e la non vedente Cinzia Coluzzi sono state vittime di una caduta ad un giro dal termine della gara quando erano in ottima posizione per puntare a salire sul podio. Un’altra beffa come quella ancora più grande toccata nella gara a cronometro di giovedì a Paolo Viganò, quando con 40″ di vantaggio sul terzo, è ha perso il controllo della bici a causa di un colpo di calore, a 30 metri dal traguardo. Terminata l’ultima premiazione, tecnici, atleti, giornalisti e parenti, hanno iniziato “l’operazione rientro.” Non prima della caccia al souvenir. I più tranquilli si accontentano dei cartelli, delle borracce e delle pin.
Io lancio occhiata a Mario Valentini per puntare in alto, dove sventolano le bandiere con il simbolo delle paralimpiadi. Come sempre l’ingegno italico fa la differenza. Una sedia, una chiave del 18, robuste forbici e le bandiere con la scritta IPC e Beijin 2008 sono nelle borse in un attimo. Francesi e inglesi cercano di imitarci ma con risultati decisamente modesti, rischiando addirittura l’arresto da parte di militari che avendoli prontamente bloccati con le mani vuote non si capacitano di come sia possibile che due pennoni siano per terra e senza bandiera…
2 ori, 2 argenti e 2 bronzi. Con sei medaglie, i nostri corridori lasciano lo splendido circuito disegnato intorno ad un lago a 2 ore di taxi dal centro città.
O meglio: una volta 2, l’altra 2 e 30, un’altra ancora 1 e 45. La fantasia dei taxisti è illimitata, al contrario della conoscenza del territorio. “Non parlano inglese, perché è mano d’opera spostata dalla campagna – spiega una funzionaria del CIO incontrata a Casa Italia, nell’ambasciata italiana- ma quel che è peggio è che la maggior parte di loro è analfabeta!”. Ed io che mi sono impegnato tanto per avere biglietti con gli indirizzi scritti in cinese!!! Ecco perché i taxisti passano lunghissimi minuti nel leggere la destinazione e poi telefonano a chissà chi per chiedere il tragitto!”
La lingua cinese ha un alfabeto di oltre duecento vocaboli, con quelli che sembrano disegni diventano 2000! Poveri bambini. Adesso, vederli stralunati ad ogni domanda che gli viene rivolta, è più comprensibile. Altro mistero: ma in Cina, i parcheggi dove sono?
Non nel senso dei posti macchina. Ma in quello di vederli segnati sull’asfalto.
Niente, o quasi. Di macchine ne circolano (pericolosamente…) tante anche se dei 30 milioni di pechinesi ben pochi hanno un mezzo a motore privato.
La maggior parte ha la bici, in buona parte elettrica!
Elettrizzante è stato anche conoscere Cecilia Camellini, non vedente sedicenne modenese che è salita due volte sul podio per ricevere la medaglia d’argento.
“Prima di venire alle Paralimpiadi – sussurra Cecilia nella serata di gala a Casa Italia – mi dicevo: mamma mia come sarebbe bello esserci. Chissà che atmosfera! Una volta a Pechino, sfilando al fianco della portabandiera, Francesca Porcellato, pensavo: mamma mia chissà che emozione dovessi salire sul podio… sono arrivata anche lì.
Non una ma due volte. La musica del cerimoniale, l’applauso della gente… indimenticabile!”. E’ giunto il momento dei saluti. Si ritorna a casa, da dove assisterò sprofondato sul divano alla cerimonia di chiusura delle Paralimpiadi di Pechino.
Solo pochi mesi fa, il viaggio in Cina era per me un sogno. Grazie alla pazienza ed alla comprensione della mia famiglia, ed al decisivo contributo economico della mia amica “bionica”, Silvana Vinci, oggi metto in valigia l’ennesima impagabile esperienza che il mondo della disabilità mi regala da quasi trent’anni. Nell’ultima notte a Pechino, bagnata da un temporale e allietata dal ricco buffet di Casa Italia, i sentimenti continuano ad essere contrastanti… sarà la stanchezza.
Martedì 16 settembre – la chicca

Mercoledì 17 settembre – Sogno e realtà
10 giorni fantastici in uno scenario unico. 84 atleti azzurri vincitori di 18 medaglie. Le Paralimpiadi di Pechino 2008 sono già nella storia e nel cuore di chi le ha vissute. Splendida la cerimonia di chiusura, come quella d’apertura, nell’ormai famoso “Nido d’Uccello”, stadio avveniristico, perla di una collana di strutture sportive come mai se ne erano viste prima. Varese era presente nella squadra azzurra ed ha fatto ben oltre ciò che era lecito chiederle. Silvana Vinci ha corso le due gare a cronometro su pista e su strada classificandosi rispettivamente settima ed ottava. Esordiente a livello internazionale, la Vinci non poteva di certo pensare ad una medaglia. In una griglia di partecipanti che comprende nazioni in cui un atleta disabile viene informato da subito sulle sue potenzialità, assistito nella scelta della disciplina prima e nella pratica sportiva poi, ed infine accorpato ai gruppi militari per gareggiare ad alto livello con tanto di preparatori, massofisoterapisti e tecnici.
La luinese ha gareggiato per dare una risposta a chi gli aveva diagnosticato lo stato vegetativo permanente, per tutte quelle famiglie che hanno vissuto o vivono quello che poteva diventare il suo dramma, ed infine per se stessa, per essere riuscita a risalire in sella e pedalare per la vita. Nessuna medaglia anche per Fabrizio Macchi.
Ma per l’airone di Bobbiate, già vincitore di un argento ad Atene, giunto alla sua terza Paralimpiade, la storia è diversa. I due corridori riflettono esattamente la situazione della pratica sportiva dei disabili in Italia. Dove c’è supporto e assistenza, organizzazione e programmazione, non è un miracolo far pedalare in pista e su strada una ragazza di 31 anni alla quale solo nel 2002 è stata ricostruita la scatola cranica devastata da una rovinosa caduta dalla bici causata da un tombino mal messo. Organizzazione e assistenza al quale Macchi ha sempre sopperito con la volontà e la caparbietà ben riassunta nel suo primo libro: “Io non mi fermo”. Oggi questo non basta più. I tecnici ed i preparatori, quelli bravi, unitamente al rigore dell’atleta nel seguire direttive e insegnamenti, ormai fanno la differenza. Ed anche dove tutte queste componenti funzionano come nella squadra azzurra coordinata da tecnici esperti come Mario Valentini e Sergio Introzzi, il tempo non concede deroghe.
Ed allora godiamoci le tre medaglie, una per metallo, del lecchese Fabio Triboli, quella d’oro del piemontese Paolo Viganò, il bronzo del marchigiano Giorgio Farroni e l’argento dell’handbiker ligure Vittorio Podestà. Risultati che a Pechino hanno emozionato chi aveva la fortuna di esserci e chi aspettava le notizie da casa. Però, mentre parenti e amici festeggiano e gli atleti, dopo enormi sacrifici, pregustano il momento in cui riceveranno il premio scandalosamente dimezzato rispetto a quelli olimpici, Comitato Italiano Paralimpico e Istituzioni a tutti i livelli, diano un’occhiata alle date di nascita dei nostri grandi protagonisti in Cina. La rappresentativa azzurra era tra quelle con l’età media più alta. Informazione, promozione e programmazione devono sostituire il motto “un mondo un sogno”, con cui una metropoli come quella cinese, di 26 milioni di abitanti, con un estensione tanto grande che si rischia di dover prendere un mezzo di trasporto anche solo per andare in bagno, è stata tappezzata. Tra i protagonisti della cerimonia d’apertura c’era una bambina in tutù. Solo pochi mesi prima il tifone che ha colpito la Cina gli provocò l’amputazione di una gamba. Nella magica sera al “Nido d’Uccello” ha danzato commovendo il mondo. Ogni studente di fisioterapia, medicina, farmacia, e con loro ogni operatore sanitario, professore, e di conseguenza ogni famiglia, devono sapere e far sapere che oggi un disabile, può praticare gran parte delle discipline sportive. Una semplice, capillare, omogenea informazione che non potrà restituire loro le piene funzionalità ma la possibilità di svolgere attività motoria, ludica, agonistica e magari un giorno vivere l’emozione anche solo di una partecipazione alle Paralimpiadi.
Federazioni e Istituzioni, invece di chiedere a questi ragazzi le medaglie, pensino ad una seria organizzazione. L’esempio è ciò che hanno saputo realizzare a Gavirate.
Un tecnico serio e preparato di nome Paola Grizzetti. Una società subito disponibile come la Canottieri Gavirate nel supportare l’attività agonistica dei disabili, senza pensare ai conseguenti problemi economici e non solo. Due Federazioni a aperte al dialogo ed alla collaborazione. Il tutto all’insegna del motto “prima di tutto, il disabile”.
Se l’adaptive rowing è cresciuto lo si deve a queste componenti, determinanti per arrivare a raccogliere ottimi frutti. Luca Agoletto, Graziana Saccocci, Paola Protopapa ed il timoniere Alessandro Franzetti, medaglia d’oro nel 4 con, sono partiti per Pechino insieme ai compagni Agnese Moro, Simone Miramonti, Daniele Stefanoni, Stefania Toscano, Mahila Di Battista, Vittorio Bolis, il tecnico Renzo Sambo ed il medico Piero Poli, come una rappresentativa nazionale a tutti gli effetti. Senza particolari privilegi, ma con tutto ciò che occorre per ambire ad un risultato di prestigio. L’enorme lavoro svolto in avvicinamento alle gare in Cina, curato anche da Giovanni Calabrese, che ha portato alla dolorosa ma necessaria selezione, ha fruttato il gradino più alto del podio, forse non a caso, grazie al “4 con”. Il “con”, nel canottaggio riferito alla presenza del timoniere, questa volta sembra avere un significato diverso. Con la passione, la professionalità, la responsabilità e l’impegno, con la promozione e la divulgazione, con l’organizzazione e la programmazione, un movimento affascinante come quello dello sport per disabili, cresce e produce, pratica e successi.
Il motto di Pechino 2008 era “un mondo, un sogno”.
Un Paese civile come il nostro, saprà cambiarlo per Londra 2012 in “un mondo, una realtà”?