Pensare e progettare, da normo dotato, per le persone con disabilità.
Non fare per rappezzare ma per costruire come serve a rendere normale per chiunque accesso e utilizzo. Le regole ci sono ma spesso cozzano contro il buon senso e viceversa.
La trama super compressa è quella di una storia con protagonista Marco Baldanello, (nella foto) architetto udinese, amante dello sport, in particolare motori e sci.
“Un bel giorno con mio padre ed il suo amico e collega Bernardino Pittino abbiamo partecipato ad un concorso indetto tra altre realtà della Scavolini per l’elaborazione e la successiva produzione di una cucina accessibile. In quel momento ero ancora studente di architettura e quindi colsi al volo l’opportunità di lavorare insieme a due esperti professionisti mettendoci del mio. Un’esperienza fantastica poi tradotta nel ’99 nella mia tesi di laurea. In realtà il concorso prevedeva l’adeguamento di una cucina per renderla accessibile alle persone con disabilità. Il progetto e la tesi andarono ben oltre, proponendo non un adeguamento ma una realizzazione accessibile per chiunque”.
In quegli anni camminava con le sue gambe. Cosa ha scoperto aprendo la porta della disabilità?
“Mah, prima di tutto pensavo ad un unico metodo per costruire un ambiente accessibile. Invece ho capito ben presto quante siano le varianti alle quali far necessariamente attenzione e per le quali si deve arrivare ad un compromesso. Poi c’è il tema delle regole. Ancora oggi quando si presenta un progetto alla pubblica amministrazione, per quanto riguarda l’edilizia privata, ti viene richiesta una tavola dell’adattabilità. In sostanza, il progetto può essere privo di accessibilità prevedendo che lo possa eventualmente diventare nei mesi o negli anni a seguire. Ma perché non un progetto accessibile da subito e stop?
In ciò che esiste, ancor più in ambienti storici, è ovvio adattare ma in ciò che deve nascere, soprattutto per quanto riguarda la nostra casa, il nostro ambiente, che senso ha predisporre anziché realizzare? Il tutto o il rendere tutto accessibile è utopia ma il progettare accessibile può e dev’essere la normalità”.
Dal vostro progetto alla produzione fino alla donazione nel 2002 all’Unità Spinale di Niguarda fresca di inaugurazione.
“Si, le cucine vennero donate all’Unità Spinale di Niguarda. Una per essere utilizzata dai pazienti, altre collocate nei mini appartamenti pre-dimissione”.
Cucine che pochi mesi dopo avrebbe testato come ospite…
“E’ andata così. Per un grave incidente sugli sci, dopo un primo ricovero in Austria scelsi di fare la riabilitazione lontano da casa e così arrivai in Unità Spinale a Niguarda dove non ero mai stato prima. Da progettista, ritrovai la ‘mia cucina’ installata e da utente”.
Prima sensazione?
“Il primo impatto fu positivo. Ovviamente chi la utilizzava con me era ognuno con disabilità e condizioni diverse e quindi qualche modifica fu necessaria ma fui felice di toccare con mano che in linea di massima il concetto funzionava”.
E adesso?
“Beh intanto, dopo una bella battaglia per ottenere la patente A grazie alla quale posso guidare, oltre all’auto, il mio quad immerso nella natura e in assoluta autonomia, amo fare immersioni insieme a mio figlio e grazie alla Freerider Sport Events posso dire con grande gioia di essere tornato a sciare! Per quanto riguarda il lavoro ti rispondo, sbagliando, che mi occupo di progettazione accessibile. La risposta giusta è: mi occupo di progettazione e stop. Una progettazione ‘zero barriere’ alla quale a breve abbineremo un’applicazione sovvenzionata da una azienda di Udine, la Biohaus, utile a verificare e testare case e appartamenti in ogni minimo particolare”.
Girando per l’Italia e nel mondo, le risulta che noi italiani siamo forse un po’ troppo severi con noi stessi tema di accessibilità? Sono così in tanti ad essere meglio di noi su questo tema?
“Si lo siamo. In tanti no. Il paradiso che frequento per le immersioni è Sharm el Sheikh dove la situazione non è il massimo. Se è vero che stiamo parlando di terzo mondo è anche vero che si tratta di una meta turistica frequentatissima e quindi una maggior attenzione sarebbe quanto meno auspicabile. Venendo al nostro Continente, l’unica che mi ha soddisfatto è Londra dove pur non senza qualche problema mi sono mosso ovunque. Tralasciando il resto, in Italia dobbiamo fare i conti con città spesso storiche e quindi relativamente alle barriere oggettivamente complicate. Certo che quando ti trovi un palo nel mezzo di un marciapiede o strisce pedonali che partono e arrivano ad un gradino scatta l’arrabbiatura perché maggior attenzione, anche solo per un anziano o una mamma con il passeggino, costerebbe davvero poco”.
Architetto Baldanello, a lei la bacchetta magica per un immediato contributo per migliorare il presente.
“Le regole in tema di accessibilità dicono che un piccolo gradino può anche passare.
Una regola che può scrivere e far rispettare solo chi non ha mai visto una carrozzina.
Lo stesso vale per misure che regolamentano gli ambienti interni ed esterni in genere, per persone con disabilità. Della bacchetta magica ne abuserei per coltivare una nuova mentalità, mantenendo sempre tirato a lucido il mai troppo considerato caro e vecchio buon senso”.