I bimbi sono fonti inesauribili di ricchezza, bisogna solo avere un po’ di coraggio nel cercarla. Vi racconto la mia esperienza col piccolo Leonardo, bimbo di 7 anni cieco dalla nascita. Da quando ci siamo conosciuti mi ha subito colpito la sua abilità nel movimento: gestione di spazzi domestici, capacità di adattamento a situazioni nuove e conoscenza di ambienti mai esplorati. E’ ossimorico, in un bimbo che non vede, trovare nel movimento la sua massima espressione: non le favole, non le canzoni, ma le corse in un prato o i salti sul tappeto elastico. Eppure potrebbe sembrare da incoscienti portare un bimbo cieco così piccolo alla ricerca del movimento, della sperimentazione di tutte quelle opportunità che il mondo esterno può offrire. Senza freni, senza paure che, molto spesso, sono frutto delle chiusure mentali degli adulti e non del bimbo stesso.
Come fa a porsi dei limiti un bimbo “vergine” se qualcuno dall’esterno gli conferisce la gioia nel provare ad andare sempre un pochino oltre? Anche solo correre, saltare, nuotare o giocare a palla con altri bambini. La ricetta è semplice ma quasi anacronistica ancora oggi nonostante si sia tutti tanto fieri del progresso. Non servono soldi o fortuna. Serve la conoscenza e un pizzico di coraggio. “Prodotti” che non si trovano sugli scaffali di un supermercato ma solo mettendosi continuamente in gioco, contribuendo concretamente al progresso mentale e culturale.
Solo così non ci stupiremo più che un bimbo cieco possa sciare sull’acqua felice.
Bene, l’altra settimana noi ce l’abbiamo portato, un bimbo cieco, di 7 anni, a divertirsi planando e ridendo sul lago di Fiano Romano. Il giorno prima sono andato coi miei genitori a trovare Leonardo e la sua numerosa e rumorosa famiglia. Con me c’era anche Cesare, amico sintonizzato sulle nostre frequenze che mi sopporta e supporta in queste mie avventure fornendomi ogni volta spunti e riflessioni.
Nella sua casa in campagna Leo gioca con cuginetto Luca: rincorrono le galline nel pollaio, tendono trappole diaboliche a Jem (un cane dolcissimo), giocano col pallone sonoro e si arrampicano sugli alberi.
L’intesa che c’è tra Leo e Luca è viscerale, un legame che si può quasi toccare. Luca è perfettamente consapevole delle esigenze di Leo: lo tiene per mano dove necessario e lo “lascia al suo destino” negli ambienti protetti. Questo è un altro aspetto di enorme rilevanza: come facciamo a parlare di inclusione se poi siamo noi adulti a dividere? Dio benedica i centri di riabilitazione dedicati alle diverse patologie e disabilità. Allo stesso tempo facciamo in modo che diventi obbligatorio, per i bimbi con disabilità, frequentare gli asili comunali, i corsi sportivi o gli oratori. Quelli per tutti però, quelli dove un bambino, come ha potuto fare Luca, capisca e impari le esigenze del proprio amico con ogni disabilità. Allora si che potremo parlare a ragion veduta di inclusione. Allora si che alla pratica sportiva si presenterà un bimbo senza le paure assorbite dai grandi.
Da sciatore non potevo sottrarmi all’emozione di portare il mio piccolo amico a provare quello che, più di 20 anni fa, ho provato io.
Sul pontile si è creata tra noi una magica intesa. Abbiamo toccato insieme gli sci, li abbiamo calzati e abbiamo camminato sulla terra ferma per poi scivolare sull’acqua, senza azzardare ma senza limitare Leonardo nelle sue iniziative.
L’emozione più grande è stata poter parlare, dal motoscafo, consapevole che lui stava vivendo una grande vittoria: per se stesso innanzi tutto e poi stava sbandierando a noi adulti che i bimbi sono fonte inesauribile di ricchezza: bisogna avere solo un po’ di coraggio nel cercarla.