Asbi: diritti di cittadinanza, autonomia e comunicazione

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Al compito assegnatole dalla Ifsbh (Federazione Internazionale Spina Bifida e Idrocefalo) l’Associazione Spina Bifida Italia ha risposto alla grande organizzando all’Atahotel di  Varese una tre giorni intensa dedicata a temi come i diritti, la comunicazione e l’autonomia relativi alle persone con disabilità.
Lo psicologo Paolo Gelli con “Competenze per una vita autonoma”,
il direttore della formazione di Ledha Giovanni Merlo con “Applicare la Convenzione dell’Onu sui diritti delle persone con disabilità e legislazione sulla disabilità in Italia” ed il giornalista Stefano Trasatti con un laboratorio di comunicazione, i relatori nel programma rivolto ai 12 partecipanti arrivati da ogni regione, ascoltando le necessità e toccando ogni aspetto della convezione Onu, generando proposte per azioni e iniziative.
Cosa resta ai giovani dell’Asbi dopo questo convegno che ha compreso una serie di momenti e incontri diversi ma tutti mirati alla crescita della consapevolezza e del  riconoscimento sociale?
“Premesso che oggi i giovani con disabilità hanno già ben altra consapevolezza e riconoscimento sociale rispetto alle generazioni precedenti – risponde Giovanni Merlo, direttore della formazione di Ledha, la lega per i diritti delle persone con disabilità – Altrettanto vero è che stiamo vivendo un’epoca in cui la partecipazione alla vita pubblica è molto più complicata di un tempo e l’individualismo è ancora molto marcato. La conseguenza è che la scelta di impegnarsi nelle associazioni è oggettivamente più difficile. Quest’aria non favorevole deriva anche dalla rabbia e dalla diffidenza verso qualunque tipo di Istituzione sociale che di certo non aiuta ad assumersi certe responsabilità. Infatti, in questi ragazzi ho trovato molta volontà ma al tempo stesso la difficoltà di proporsi come leader. Forse anche perché le associazioni devono ancora imparare ad affidarsi maggiormente a chi per ovvie ragioni ha in mano la costruzione del nostro futuro. Il nostro indimenticabile Franco Bomprezzi ripeteva spesso ai giovani ’sbatteteci in faccia un’idea, una lotta, un impegno, un obiettivo che non sia già stato raggiunto’. Io credo che se le associazioni avessero maggiore volontà nell’ attrezzarsi in questo senso, eliminando individualismo e auto rappresentanza l’aria può cambiare. La comunicazione premia chi si rappresenta da solo, chi urla di più, chi espone
sofferenza e dolore o il massimo eroismo. Una rappresentazione molto pericolosa in un momento in cui in realtà la possibilità di molte persone con disabilità di vedere riconosciuto il loro diritto a vivere una vita più che dignitosa e con condizioni molto vicine all’uguaglianza con gli altri, in alcune situazioni, è molto vicina. Ecco perché dobbiamo riuscire a raccontare la disabilità in modo normale, la bellezza dell’inclusione, il vivere insieme. Oggi facciamo ancora un po’ fatica perché per ottenere benefici e attenzione resiste la comunicazione politica della fatica e del dramma. Faccio un esempio. Anche una discreta legge come la 112 abbiamo dovuto chiamarla ‘’Dopo di noi’. Una terminologia vecchia, assurda, utilizzata quasi trent’anni fa.
Ma le persone valide non mancano e quindi dobbiamo aver fiducia”.
Bomprezzi non voleva sentir parlare di diritti della persona con disabilità ma di diritti di cittadinanza.
“Si perché i nostri diritti sono quelli di tutti. Da capire è il modo specifico con cui la disabilità viene discriminata. Nelle varie categorie delle minoranze i modi di discriminazione ed esclusione sono molto simili e la disabilità ne ha due in particolare: il paradigma sanitario e l’assistenzialismo caritatevole. Quando invece adottiamo un altro modo di raccontare la disabilità partendo dai pari diritti ecco che arrivano le resistenze.
Nel modo in cui è stata esposta, la retorica dei falsi invalidi non è nata per caso.
Guarda caso nel momento in cui le persone con disabilità non chiedono la carità per una sofferenza o un dramma ma più semplicemente per diritto di cittadinanza.
Al di là di queste difficoltà culturali abbiamo già dimostrato di saper fare molte cose.
Il salto successivo è riuscire a far capire che in quello che chiediamo non c’è niente di straordinario.
Chiunque abbia una disabilità, mediamente personaggio, mediamente colto o performante, può vivere la vita in condizioni medio alte in parità con gli altri. Oggi non è così ma in molti casi sappiamo come dovrebbe essere. Un ascensore in più in una metropolitana, mezzi pubblici più accessibili, libertà di come e da chi farsi assistere, reddito e lavoro.
Non sono cose impossibili. Problemi e situazioni difficili sono molti altri ma rendiamo ordinario almeno quello che è alla nostra portata”.
Come sta la Ledha?
“Nella Ledha ci vivo ogni giorno ed è un lavoro meraviglioso – conclude Merlo – Purtroppo si sente la distanza tra le esigenze, i diritti delle persone e quello che la nostra società riesce a garantire. Nell’incontro con i ragazzi dell’Asbi abbiamo affrontato l’aspetto del dover necessariamente scegliere alcuni obiettivi tra i tanti. Questo fa parte del nostro lavoro perché il grande senso di responsabilità che sentiamo e abbiamo ereditato è ciò che alimenta la Ledha per essere sempre più un punto di riferimento e un tesoro da coltivare”.