“Mi aiuti a metter su una squadra di hockey in carrozzina elettrica? Sto già giocando ed è una figata ma ogni volta devo andare a Monza. Quello degli Sharcks è un bell’ambiente, belle persone, ma ogni andata e ritorno da Jerago è complicata. Quindi? Cosa mi dici, lanciamo sto appello”.
Claudio Carelli l’ho conosciuto così, per telefono. Il mio si è stato automatico ma la determinazione di Claudio faceva a pugni con una domanda che mi rimbalzava in lungo e in largo nell’abbondante spazio vuoto della mia testa. Come si fa – pensavo – a lanciare un messaggio del tipo: avete la distrofia muscolare? Bene, venite a giocare a wheelchair hockey! Come si doveva fare me l’hanno insegnato Claudio, la sua mamma Giusy e il suo papà Giordano.
Come si può chiedere ad un genitore il permesso di espiantare uno o più organi del figlio? Si può e si deve. Allora cosa vuoi che sia informare un papà e una mamma in merito alle tante opportunità per il figlio con disabilità di avvicinarsi ad una disciplina sportiva?
La squadra degli Skorpions Varese di wheelchair hockey è nata così. Un ragazzo di poco più di vent’anni con due genitori tosti contagiano altri ragazzi con genitori tosti.
Un passaparola di sempre più voci in grado di formare prima una e per un paido d’anni addiruttura due squadre, vincendo tutto quello che si poteva vincere in Italia e giocando in Europa, in maglia biancorossa degli Skorpions e con quella della Nazionale.
Quasi fosse tatuata, sul braccio di Claudio l’immancabile fascia di capitano, quella del suo idolo Alessandro De Piero. Al suo fianco il fedele compagno d’attacco Tiziano Fattore.
Una coppia di cannonieri senza avversari.
Nell’anno in cui Claudio e Tiziano non poterono giocare insieme per una modifica al regolamento che vuole in campo squadre equilibrate per grado di disabilità dei giocatori, l’ormai solito scudetto non arrivò. Claudio lo raccontò in una delle tante mattinate nelle scuole trascorse insieme, al pari delle indimenticabili serate al Teatro Vela, a parlare di sport disabili (“paralimpici” venne dopo…). “Per quest’anno è andata così – concluse Claudio – ma l’anno prossimo io e Tiziano potremo tornare a formare il nostro formidabile tandem d’attacco e quindi non ce ne sarà più per nessuno!”. Dai gradoni di quell’aula magna esplose un applauso infinito, anche i docenti si spellavano le mani per ringraziare e salutare il protagonista di un incontro che valeva più di qualsiasi lezione o verifica.
Tutti felici insomma. Tutti no. Claudio si accorse guardandomi che non avevo applaudito, solo salutato cordialmente.
“Oh Roby – mi dice – dai non roviniamogli la festa. Va bene così.
Grazie e alla prossima”. Senza bisogno di far domande Claudio mi aveva risposto. La malattia si era presa un pizzico di spazio in più. L’anno sucessivo Claudio e Tiziano giocarono di nuovo fianco a fianco contribuendo a suon di gol alla riconquista dello scudetto e della Coppa Italia.
Ma se vincere sul campo con i suoi compagni sembrava quasi scontato, nella vita di tutti i giorni per Claudio e i suoi cari era tutto maledettamente più complicato. Alti e bassi, non solo fisicamente, preoccupavano soprattutto mamma Giusy. Preoccupazioni spazzate via da una stella di nome Rita arrivata a far “impazzire” Claudio nel momento giusto.
Quel ragazzino di Jerago, fratello minore di Paola, diventato grande, capitano degli Skorpions Varese e della Nazionale italiana di wheelchair hockey, campione d’Italia e re dei goleador era andato oltre diventando un capo famiglia due volte padre, di Giorgia e Alessandro.
Claudio, so che saresti rimasto ancora a lungo con i tuoi combattendo la paura di un peggioramento pesante.
Ma, quasi mai, nessuno di noi sceglie il modo o il momento.
Prima di vederti andar via i tuoi amici della Nazionale ti hanno regalato l’emozione di vederli diventare campioni del mondo.
Tutta la tua forza per combattere la paura di soffrire passala ai tuoi cari per combattere il dolore e ai tuoi “scorpioni biancorossi” per continuare a combattere sul campo. Ciao Capitano…”stella adesso splendi per noi, non lasciarci al buio mai…”