Alberto Cairo: 30 anni di impegno in Afghanistan come ricostruttore di arti e dignità

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Alberto Cairo Cicr

Caffè Dunant nr. 565 del 7 febbraio 2019
Tratto da “The New York Times”
Traduzione non ufficiale di Claudia Di Dino

Alberto Cairo, un giovane avvocato italiano, diventato fisioterapista, arrivò a Kabul nel 1990, quando le truppe supportate dal governo americano assediarono la capitale del governo comunista. Da allora, rimase, diventando l’amato “Mr. Alberto”, colui che fissa gli arti e dà speranza durante una guerra che non ha mai cessato d’esistere completamente, e che continua a uccidere e mutilare con numeri da record.

Mercoledì, il programma di riabilitazione fisica del Comitato Internazionale di Croce Rossa (C.I.C.R.), programma che Alberto Cairo ha portato avanti durante numerosi governi, ha celebrato il suo trentesimo anniversario. Il programma ha coinvolto circa 180 mila pazienti e ha ricostruito circa 200 mila arti artificiali, numeri che Alberto Cairo elenca con un profondo respiro.

Ma per Alberto Cairo, oggi 66enne, non è solo una questione di protesi e sedie a rotelle. Come lui spesso ricorda ai visitatori, è una questione di dignità.

“Quando tu perdi una gamba, non perdi solo una gamba – tu perdi un pezzo di cuore, un pezzo di mente, un pezzo di autostima”, queste le parole dette da Alberto Cairo mercoledì presso il centro di Kabul, uno dei sette centri di riabilitazione presenti sul territorio afghano – “Tutto questo deve essere ricostruito, e tutto insieme fa parte della dignità”.

Nato a Torino e successivamente trasferitosi a Milano, Cairo studia per diventare avvocato. Mosso da sentimenti umanitari, Cairo si specializza in fisioterapia. Una delle sue prime missioni con il CICR lo ha portato a Kabul, città sotto assedio. Quello che lo ha colpito maggiormente, dice, è stata la quotidiana ricompensa che si riceveva responsabilizzando le persone ostracizzate per le loro disabilità.

Ferozuddin Feroz, Ministro afgano della salute, disse che la prima volta che incontrò Alberto Cairo fu quando stava per finire la specializzazione come studente di medicina. Spesso descrive Alberto Cairo come un eroe.
“Ha dedicato tutto se stesso all’Afghanistan, e per noi è un maestro” specifica il Ministro Feroz.
Quando Cairo arrivò in Afghanistan, il programma di riabilitazione fisica era destinato solo ed esclusivamente alle vittime di guerra. Analizzando i dati del ministero della salute, Cairo ha velocemente realizzato che il programma non era equo, in quanto il paese ha circa il 3 – 5% della popolazione che soffre di una o più disabilità. Il programma , quindi, fu ampliato a metà del 1990 con l’obiettivo di includere tutte le persone che presentavano delle disabilità che minavano la loro mobilità.

“Ogni giorno, avevamo circa 50 pazienti: diciamo che 15 erano vittime di guerra a cui dicevamo di entrare, gli altri 35 dovevamo dire di tornare a casa perché non potevamo fare nulla per loro” ricorda Alberto Cairo. “Questo non era possibile. Questa era discriminazione”

Cairo ricorda che il cambiamento del programma ha creato degli sviluppi tremendi. Trattare un invalido di guerra potrebbe risultare semplice, ma approcciarsi a pazienti, spesso bambini, con paralisi celebrali o malattie congenite, richiede un alto grado di specializzazione.

Nei decenni passati, i centri di riabilitazione hanno accolto annualmente circa 10 mila nuovi pazienti di cui circa 1500 vittime di guerra, mentre i rimanenti erano pazienti colpiti da malattie o incidenti. 100 mila pazienti, circa, ritornano almeno una volta all’anno per controlli e visite.

Nel 2018, il numero dei pazienti ha raggiunto un nuovo record, con più di 12 mila richieste di aiuto. L’incremento della domanda è arrivata quando l’Afghanistan è diventato più pericoloso per gli operatori umanitari, i quali sono stati oggetto di svariati attacchi.

Alberto Cairo

Il CICR ha affrontato molti di quegli attacchi, nonostante una dichiarazione fatta dai Talebani con cui si sollevava una garanzia di sicurezza al Comitato (garanzia che è stata ripristinata dopo alcuni colloqui). Uno dei più raccapriccianti attacchi contro il CICR, ha visto coinvolta Lorena Enebral Perez, una dei fisioterapisti dello staff di Alberto Cairo, che fu colpita mortalmente durante una sessione di terapia per un paziente poliomelitico che aveva contrabbandato una pistola. Il capo della delegazione del CICR in Afghanistan, Juan-Pedro Schaerer, assieme ad Alberto Cairo, le ha reso omaggio durante la cerimonia dell’anniversario di mercoledì.

Alberto Cairo ha dichiarato che, quasi tutti i 750 membri dello staff dei sette centri di riabilitazione sono ex pazienti con disabilità. “Questi centri sono per i disabili, portati avanti e gestiti da disabili”.

L’evento di mercoledì è stato organizzato in una palestra dove ogni giorno si allenano circa 500 para atleti.

Uno di questi atleti, Mohammed Saber, 28 anni, giocatore di basket in carrozzina, è nato dopo l’arrivo di Alberto Cairo in Afghanistan.

Quando Saber aveva 3 anni, fu vittima di un ordigno inesploso con cui stava giocando un cugino nel loro villaggio nella periferia di Kabul. L’ordigno uccise il cugino di 8 anni e fece perdere le gambe a Saber.

Saber si ricorda vagamente di quando, all’età di 5 anni, Alberto Cairo realizzò per lui il primo paio di protesi. Dopo aver vissuto circa dieci anni in un campo profughi in Pakistan senza avere la possibilità di sostituire le protesi, Saber decise di ritornare in Afghanistan e avere un altro paio di protesi adatte alla sua età.

Intorno al 2012, Saber venne a conoscenza dei corsi sportivi che il centro offriva all’interno di una palestra di nuova costruzione. Con un amico si unì ai corsi di sport e oggi fa parte della squadra nazionale di basket dell’Afghanistan con cui ha girato diversi paesi: di recente è tornato dal Libano dove ha partecipato ad un torneo di basket. Inoltre ha un lavoro nel centro di riabilitazione, dove si è formato per due anni per lavorare con le vittime della polio.

Alcune volte, racconta Saber, chiede al dott. Cairo se si ricorda del loro primo incontro quando assieme alla nonna si presentò al centro per il suo primo paio di protesi. “ Forse, tu eri molto piccolo” questa è la risposta di Alberto Cairo. D’altronde ha trattato migliaia di amputati durante questo trentennio, ricorda Saber.

Durante la cerimonia, Cairo ricorda che spesso gli viene chiesto se 30 anni è stato un lungo periodo di tempo. “Spero di rimanere altri 30! La ricompensa nell’aiutare persone con disabilità, vedere che riescono nuovamente a fare cose, vedere che dal gattonare ricominciano a camminare, è un qualcosa che non invecchia mai. Quella ricompensa si sta accumulando, e se devo comparare quello che do a quello che ottengo, beh sto ottenendo molto di più”.