Il suo incontro con Daniele Cassioli gli ha aperto una finestra in più sul mondo della disabilità ma Andrea Farnese di attenzione per gli altri si ciba già da tempo, fin da quando con un paio di amici d’infanzia e compagni di judo curò per conto di una società di calcio a 5 un progetto, “Sport, benessere a salute mentale”, dedicato a ragazzi con fragilità psichica, con diagnosi di schizofrenia piuttosto che bipolari.
“Davvero una bella storia – ricorda Farnese – Iniziammo con l’azzardo di iscrivere una squadra integrata al campionato provinciale di Serie D della Federcalcio, arrivando in quattro anni a giocare la finale per la promozione in serie C.
I protagonisti di quella cavalcata uscirono sconfitti sul campo ma vincenti nella vita visto che che molti di loro uscirono da una condizione di obesità più o meno grave e non ebbero più ricoveri negli anni a seguire. Un meraviglioso risultato di cui beneficiarono anche i ragazzi normodotati che condivisero con loro quella bella avventura perché dovendo necessariamente supplire alle oggettive difficoltà dei loro compagni svilupparono capacità tecnico tattiche e di gestione di situazioni emotive che portò alcuni a giocare nelle serie maggiori pur non arrivando da un’attività giovanile di base”.
Da quella esperienza nella tua Fano come sei arrivato a Parma?
“A Parma lavoro, sono osteopata e mi occupo del Progetto Giocampus Insieme che si occupa di inclusione. Il mio lavoro con Giocampus fu la conseguenza del mio incontro con il responsabile Elio Volta, nel 2013, quando eravamo entrambi al tavolo della Commissione Nazionale del Coni per l’attività giovanile.
Da lì è nata la nostra amicizia e abbiamo continuato a collaborare nel corso degli anni fino a quando nel 2016 mi propose di occuparmi del suo progetto per l’inclusione che stava prendendo forma in quell’anno nelle scuole di Parma città che ad oggi ha riguardato oltre 150 bambini con disabilità. Il progetto prevede nelle scuole primarie la collaborazione tra un esperto di attività motoria un esperto del Comitato Italiano Paralimpico che si interfacciano nella progettazione del processo di inclusione, cercando di creare i presupposti affinché il bambino con disabilità faccia corpo unico con i suoi compagni migliorarsi dal punto di vista motorio. Quindi non un progetto mirato al singolo o al gruppo ma all’intero contesto scolastico”.
Stiamo parlando di incontri tra pochi dai quali è generato qualcosa di molto utile a tanti. Quello con Daniele Cassioli?
“Daniele me l’ha presentato Elio in occasione di una presentazione del suo libro a Parma. In quella sera ci fu solo una stretta di mano ma qualche settimana più tardi ci siamo ritrovati sul campo per condividere una giornata di attività in una scuola. Mai prima di allora avevo avuto a che fare con bambini ciechi o ipovedenti. Non una ma due persone cieche le avevo frequentate perché miei compagni alla facoltà di osteopatia dove ero l’unico che andava loro incontro in quanto avevo capito che non poteva essere il contrario con la conseguenza di vederli a volte in disparte”.
L’incontro con Cassioli ha fatto si che Daniele ti chiedesse di far squadra con lo staff della sua associazione sportiva nell’organizzare il primo Camp estivo, oltre tutto in condizioni molto particolari generate dal Covid-19.
“L’esperienza di Tirrenia è stata bellissima perché non conoscevo i bambini, non conoscevo lo staff, non conoscevo la logistica, insomma, per me era tutto da scoprire. Dal mio arrivo, attraverso il gioco si è creata da subito un’alchimia che ha contagiato tutti. Un insieme di entusiasmo e sorrisi che ha smosso senza riserve bambini e operatori. E lo stesso è successo sempre con Real Eyes Sport a a Perugia, nella quattro giorni voluta con grande determinazione in primis da splendidi genitori”.
Dal ruvido “handicappato” si è arrivati all’insipido “diversamente abile”. Come se ne esce?
“Semplice. Prendendo coscienza che ognuno di noi ha diverse abilità. Se la diversità viene vista come valore il contesto in cui cresciamo e viviamo diventa più ricco. Laddove la diversità viene vista come un problema è sempre difficile creare inclusione.
Daniele Cassioli racconta spesso di quanto il suo papà lo spingesse da piccolo davanti a se. Ancora oggi è più facile vedere un bambino cieco per mano un passo dietro a chi lo accompagna.
“Vero ma anche questo aspetto è la conseguenza di un retaggio culturale e di non conoscenza. Molte volte al cospetto del diverso non vogliamo metterci in discussione. La diversità ci spaventa e molte volte non sappiamo come porci e interagire”.
In una stagione dove sembrava non potesse succedere niente grazie alla filosofia di Giocampus e all’entusiasmo un po’ incosciente della neonata Real Eyes Sport è successa tanta roba.
“In un momento dove tutto s’è fermato ed è ripartito lentamente tra paura e dubbi qualcosa è successo eccome. Personalmente ho visto un grande passo in avanti dal punto di vista culturale perché sta prendendo forma un’idea di inclusione all’avanguardia che, posso dirlo in quanto ho viaggiato tanto toccando con mano tante realtà, in molti Paesi del mondo è ancora lontana da quello che si fa da noi grazie ad insegnanti di sostegno capaci che accompagnano lo studente con disabilità all’interno della classe.
Ulteriore salto di qualità sarebbe che lo stesso insegnante di sostegno sia in classe per tutti e non solo per ‘il diverso’. Ad esempio, un percorso di attività motoria creato all’interno di un gruppo ma strutturato e facilitato per il bambino con disabilità enfatizza comunque la sua condizione. A Tirrenia e a Perugia come in passato in altre esperienze, tutti hanno giocato lo stesso gioco prendendo ognuno le proprie competenze generando qualcosa di illuminante”.
Indirettamente hai fatto un plauso al nostro più o meno malandato Bel Paese. Mi verrebbe di chiederti grazie a chi? Invece ti chiedo: in uno scenario come quello della promozione e dell’approccio allo sport come quello paralimpico quanto è ingombrante un soggetto come Daniele Cassioli?
“Bella domanda. Daniele, per fortuna non solo lui, è ingombrante perché ha delle idee e le porta avanti mettendo inevitabilmente in risalto ciò che manca dal punto di vista amministrativo e politico di chi dovrebbe farlo. Parlando di e pensando di fare si resta fermi. Le buone pratiche come quelle di Daniele e di quelli come lui vanno istituizionalizzate e trasferite in ogni ambito per contaminare chiunque con una nuova cultura soprattutto in ambito accademico e universitario.
Anche in questo senso Daniele si è speso molto ma non basta.
Io spingo sul fatto che Real Eyes Sport debba diventare un punto di riferimento formativo e culturale per quello che concerne la disabilità visiva, promuovendo una programmazione delle attività a livello nazionale. Io credo che debba essere l’Italia ad andare incontro ad una realtà pur giovanissima come Real Eyes per imparare e condividere un lavoro in questa direzione”.
”.