Ci sono presidenti e presidenti. Di quelli quasi mai in giacca e cravatta sempre sul campo perché ben consapevoli di ogni aspetto ma soprattutto delle priorità e delle necessità se ne vedono sempre meno. I pochi sono in sella da una vita perché la propria vita l’hanno dedicata ad una causa. Solo apparentemente impermeabili alle critiche provenienti in gran parte dai sacerdoti del dire, lontani anni, luce dai protagonisti del fare.
La galassia Briantea 84 Cantù festeggia quest’anno il suo 33° compleanno e a soffiare sulle candeline c’è da sempre Alfredo Marson, un presidente quasi mai in giacca e cravatta che dice di esser stanco ma nessuno lo ascolta perché nessuno gli crede.
“Porca bestia è vero! – risponde Marson a bordo vasca di una gara di nuoto paralimpico – Mi rendo conto di essere poco credibile quando dico che sto pensando di passare il testimone perchè anche solo a pensarci mi viene il magone. Però devo necessariamente pensare alla continuità di tutto quello che insieme a tanta bella gente abbiamo creato dal nulla oltre trent’anni fa. Fermo restando che non verrebbe meno la mia disponibilità ed il mettere al servizio di chi verrà l’esperienza che ho maturato in tanti anni di presidenza. Una cosa del genere l’ho già fatta in una cooperativa dove dove sono stato presidente più o meno da quanto lo sono in Briantea. Ripeto, sono nodi in gola perché quando vivi un’esperienza fino in fondo, arrivando a sentirla parte di te, ti illudi di poter dare e di poter essere utile all’infinito.
Ma purtroppo o per fortuna non è così e quindi è bene pensare al futuro. Sempre”.
Va beh, veniamo all’oggi e quindi al tuo ruolo di presidente. Sbraiti alle partite di basket, urli a bordo vasca, spingi le carrozzine, guidi i pulmini…ma datti un tono!
“Macché tono! Una passione bisogna viverla fino in fondo, in ogni suo aspetto, condividendo ogni emozione. Tutte cose che non si possono vivere con distacco o peggio reprimere.
Non ce la farei nel modo più assoluto. Un presidente di una polisportiva come la Briantea deve necessariamente essere polivalente e polipresente”.
Paralimpiadi portatrici sane di risultati e visibilità, Comitato Italiano Paralimpico Ente Morale. Di tutto sto ben di Dio alle Società cosa resta o cosa arriva?
“Il mio pensiero resta quello di sempre. Le Società devono imparare e saper fare la loro parte. Pensare che da sole le Paralimpiadi possano risolvere i nostri problemi è sbagliato.
Il grande salto in tema di sport disabili c’è stato tanti anni fa. Oggi dobbiamo programmare e lavorare seriamente. Poi certo, il Comitato Paralimpico e le singole Federazioni devono essere di supporto ma il cambiamento più grande lo devono fare le società, naturalmente insieme gli atleti che se vogliono essere considerati tali devono vivere e comportarsi da atleti. Il messaggio chiaro delle Paralimpiadi come di ogni altra manifestazione ad alto livello è quello che non è più possibile arrivarci per caso o per fortuna.
Detto questo, girando e conoscendo tanto, la crescita delle nostre Società è evidente.
Lo stesso vale per la mentalità degli atleti. Uno scenario che mi entusiasma e mi da fiducia per gli anni a venire”.
Quelli che vincono sono molto meno di quelli che pur mettendoci uguale impegno conquistano “solo” il diritto ad esserci, Paralimpiadi, mondiali, europei e quant’altro. I non medagliati altrettanto impegnati e determinati di chi son figli?
“Bravo! E’ uno delle cose sul groppone di noi Società. Sta a noi far conoscere e valorizzare tutti i nostri atleti. Tutti i nostri ragazzi devono avere identiche opportunità utili a scoprire e coltivare il proprio talento, oltre ad essere educati a diventare a loro volta motivo di crescita per le generazioni a venire. Lo so, è un lavoro immane e difficile ma va fatto.
E con più persone lo fanno, con meno risulta pesante per i singoli e con più persone vengono raggiunte e contaminate dalla stessa cultura. Ben vengano le Bebe Vio, gli Alex Zanardi, i Federico Morlacchi e tutti quelli prima di loro o con loro. Stelle di prima grandezza che soprattutto nello scenario paralimpico devono essere di stimolo al movimento a dare sempre e comunque il meglio. Alle Paralimpiadi come alle gare promozionali ma anche, se non soprattutto, nella vita di tutti i giorni”.
Ma alla Briantea eccellenza nel panorama paralimpico italiano e non solo, protagonista nella formazione, nella promozione della pratica sportiva come nella promozione, quanto bene vuole il territorio dov’è nata e diventata grande?
“Ti rispondo con una emozione recentissima. Nella serata in cui abbiamo giocato la partita di basket in carrozzina con Porto Torres, a poche ore dall’inizio ho ricevuto un messaggio con cui una Scuola invitata con 250 alunni mi comunicava l’impossibilità ad arrivare. Saperlo così a ridosso mi ha messo addosso la preoccupazione di non vedere il nostro palazzetto di Desio con il solito tutto esaurito. Pensiero svanito al mio arrivo quando abbiamo avuto il problema opposto: quello di sistemare in qualche modo la gente senza posto a sedere. La storia della Briantea è ricca di questi episodi che testimoniano l’affetto con cui la gente segue e sostiene le nostre attività”.
Restando al basket. Capita più di quanto la gente possa pensare che i giocatori stranieri del nostro campionato rimangano meravigliati del tanto di buono che trovano nel nostro Paese.
“Praticamente sempre! Al di là dei luoghi comuni e delle frasi fatte, quello che il mondo ci invidia è il nostro grande cuore.
Noi sappiamo offrire una disponibilità ed un calore che non hanno eguali.
Con le nostre mancanze e i nostri eccessi, abbiamo uno spirito capace di bilanciare o recuperare ogni situazione. Sono molti quelli che ci dicono che a casa loro in fondo in fondo si sentono comunque un problema per la società, stupiti di vedere da noi molte persone con disabilità considerate unicamente risorse. L’abbiamo visto anche a Rio dove molti Paesi, sapendo delle nostre croniche difficoltà, si sono meravigliati dei risultati ottenuti dai nostri atleti. Il nostro valore aggiunto è l’anima che sappiamo metterci in ogni situazione di difficoltà, riempiendo di entusiasmo ogni vuoto della nostra malandata cultura”.