Nomi, numeri, diritti divisi in categorie, “vizi burocratici” invece che persone

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Ultima in ordine di tempo, la storia di Mariangela, San Martino in Pensilis, Molise, mentre state leggendo è già diventata penultima o anche più indietro per altre storie simili che l’hanno scavalcata, altrettanto drammatiche, magari con meno eco per il dignitoso silenzio dei protagonisti che circonda queste storie. Mariangela era una donna di 33 anni con grave disabilità, accudita h24 da mamma Concettina. 

Nel 2019 l’urlo disperato di Concettina era valso almeno il ripristino dell’assegno di sostegno per la figlia toltole dall’Inps per un “vizio burocratico”.
Colpita da un virus alla nascita, Mariangela ha smesso di vivere per il virus di oggi, per il quale non le è stata riconosciuta la priorità del vaccino. 

Errori, carte, numeri. Capita. In una società dove il disagio degli altri è condiviso a parole o considerato un fastidio è così, da ben prima del covid, figuriamoci ora e chissà ancora per quanto. Siamo numeri. Nella nostra provincia piccole realtà ossigeno puro per tanti genitori come Concettina sono giustamente chiuse ma sui “tavoli” di chi decide non c’è la consapevolezza di come viveva ed è costretto a vivere oggi chi, soprattutto con disabilità intellettiva, almeno qualche ora al giorno era fuori casa, curato o seguito, respirando ossigeno e facendo respirare genitori sfiniti nella testa e nel fisico. Siamo numeri. In provincia di Varese le grandi realtà ricettive, diurne e residenziali, resistono perchè hanno grandi numeri. Le più piccole chiudono, schiacciate da conti che non tornano. La loro storia Concettina e Mariangela l’hanno vissuta in casa da sempre. Meglio? Peggio? 

Chiediamolo alla splendida sorella di uno dei pionieri varesini dello sport disabili, Alfredo Luini. Chiedete alla mamma di Marco, Tradate. Si dia parola e spazio alla mamma di Ettore, Catania.
Si faccia in modo che anche i genitori di Daniele, Mazara del Vallo, possano ricevere una telefonata da qualcuno che almeno chieda loro scusa. 

Non è un tema di nord, centro, sud, struttura o casa. E’ un tema di persone. Certe storie, queste storie, sono più vicine di quanta voglia abbiamo di conoscerle. Perchè fanno male a chi le vive in prima persona ma anche, in modo diverso, a chi le vive per lavoro, attenzione per gli altri, amicizia, a chi le ascolta. Pensiamo di sapere e capire tutto di tutto. Pensiamo di conoscere il malessere, la difficoltà, la solitudine, la sofferenza, il dolore, la disperazione. 

Pensiamo di conoscerli fino a quando ci sfiorano o ci cadiamo dentro.

La storia di Concetta e Mariangela come molte altre non è ingiusta per come finisce.

E’ ingiusta per come è iniziata ed è arrivata alla fine. Per tutto quello che Concetta ha dovuto chiedere per Mariangela. Niente di più di quanto le spettava, non in quanto disabile, in quanto persona.

Certe storie non possono e non devono essere raccontate con numeri e paragrafi.
A disperate domande di aiuto si può e si deve rispondere anche con logica e buon senso. La storia di Concettina e Mariangela non va etichettata con “diritto della persona disabile” e divisa in capitoli quali approvvigionamento, tempi tecnici, fasce d’età, patologia, convenzioni, accreditamenti, sostegno, posti, budget, minutaggio. 

Un solo diritto, il bisogno, un solo capitolo, la persona.       

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